L’amore al tempo del Coronavirus

 

  foto di Matteo Leonardis

 

 

L’amore al tempo del coronavirus

L’oscurità ed il silenzio della camera sono rotti all’improvviso da un leggero chiarore e da una melodiosa armonia a metà tra un dolce tintinnio di campanelli d’argento e il frusciare di acqua corrente.

Molto gradualmente sale l’intensità dell’uno e dell’altro, poi una voce dolce e suadente si materializza: “buongiorno, Franco, sono le sette e trenta del 24 marzo tremilaventi: è ora di alzarsi”.

Franco, un ragazzone poco più che adolescente, si tira su dal letto, infila i piedi nelle pantofole, si stiracchia un po’ ed entra in una specie di cabina d’ascensore che lo aspetta in fondo alla camera, di fronte alla finestra.

Al suo avvicinarsi il pannello trasparente si apre e lo lascia entrare. Nessun rumore, nessuno scroscio d’acqua: le operazioni di pulizia mattutina si concretizzano nel passaggio silenzioso e impercettibile a qualsiasi senso, scandito solo dal ticchettio di un timer. Un click avvisa che l’operazione è terminata e un’altra porta scorrevole si apre per consentire il passaggio alla zona giorno della casa.

L’ampio vano è occupato al centro da un tavolo circondato da sgabelli alti e da pochi oggetti essenziali: tutto nel nome della funzionalità e della razionalità.

Sul fondo, accanto alla finestra, quello che sembra un grosso armadio, con una tastiera sul fianco ed una sorta di finestrella al centro. Accanto una signora già perfettamente abbigliata e pronta per dare il via alla giornata della famiglia.

Un attimo dopo, attraversando un’altra porta scorrevole, compare anche un uomo, anch’egli impeccabilmente abbigliato.

I due adulti si guardano a circa un metro e mezzo di distanza l’uno dall’altro, si sorridono, poi si rivolgono a quello che, verosimilmente, è loro figlio e, quasi all’unisono: “buongiorno, caro. Ben alzato”.

Il sorriso sul volto dei tre è smagliante, ma, a ben guardare, sa di artefatto e per niente spontaneo.

Il ragazzo risponde con altrettanta stereotipata cordialità: “buongiorno”.

Inizia il rito della colazione. In un ordine sicuramente prestabilito, dal momento che nessuno dei tre si muove prima che  il percorso sia completamente sgombro, si alternano davanti a quello che ho definito armadio: ognuno pigia uno o bottoni, aspetta qualche secondo, poi solleva lo sportellino e ritira il vassoio su cui si allineano i vari alimenti che compongono la colazione mattutina.

Si siedono intorno al tavolo ben distanziati ed attenti a non entrare fare alcun gesto che possa preludere ad un contatto fisico.

Mangiano in silenzio, con sorrisi vuoti stampati sulla faccia (perché così è una famiglia felice), ognuno attento a se stesso. Il silenzio di questo rito mattutino è riempito dal suono di un televisore che distribuisce le notizie del giorno. I tre sembrano tutti molto interessati ai messaggi che vengono dall’apparecchio, ma in fondo sono ansiosi che finisca presto questo rito mattutino per poter poi correre ognuno all’ attività che lo aspetta.

Terminata la colazione, nello stesso ordine con cui si sono serviti, ripongono stoviglie e vassoi in un apposito contenitore e si allontanano, ognuno seguendo un percorso preciso, in direzioni diverse.

Prima c’è un laconico “buona giornata e buon lavoro” scambiato con formale cordialità.

I genitori, ognuno nella rispettiva camera ufficio si apprestano a passare la loro giornata di lavoro, ovviamente smartworking, per garantire alla famiglia il tenore di vita (una volta si diceva: per mantenere la famiglia); si rincontreranno ad ora di pranzo, quando un nuovo segnale acustico avviserà che è l’ora del recupero delle energie, con un pasto ben bilanciato che sarà disponibile all’ apposito distributore.

Franco, il più giovane, e forse per questo l’ultimo ad allontanarsi dalla stanza, si dirige verso la sua camera/studio, dove si accinge a trascorrere una mattinata di studio.

Prima di sedersi sulla sua poltroncina ergonomica, davanti alla scrivania, si avvicina alla finestra che si apre verso l’esterno.

Ma non è una finestra con infissi, serramenti, cristalli e tutto quello ci si aspetterebbe in una finestra: è uno schermo che trasmette immagini. Immagini di un vasto giardino, con fontanella al centro, con uno zampillo di acqua fresca, con panchina, ombrellone, un’altalena, una bici poggiata al cancello: un giardino adatto alla villa nella quale la famiglia vive.

Forse c’è una telecamera che inquadra l’esterno, inserita per non modificare il microclima dell’ambiente interno, assicurato da condizionatori, aeratori, deumidificatori, pompe di calore o altro.

Ma Franco si avvicina, pigia un tasto e la stessa finestra ora rimanda l’immagine di una spiaggia sabbiosa, una banchina con un piccolo molo ed una barca all’ormeggio.

Non è soddisfatto; pigia un altro tasto e si trova in una baita di montagna, affacciata su vasti campi da sci pronti per essere solcati.

Ancora no; pigia di nuovo ed appare un paesaggio autunnale, colori sfumati e forme che si perdono nella nebbia, con alberi spogli e foglie rinsecchite a coprire il terreno.

Franco sembra soddisfatto della scelta e finalmente si siede alla scrivania dove si accinge a trascorrere una mattinata di studio.

Computer, monitor, stampante, videoproiettore: tutto è pronto per entrare nel mondo della cultura, della scienza, della tecnica e tutto quello che è previsto dal corso di studi che ha scelto.

Non ha bisogno di libri né di quaderni: tutto si svolge on line.

Un tutor dedicato lo aiuta nel percorso di studi, nelle esercitazioni, nell’esecuzione di esercizi o dei compiti.

E così, standosene comodamente seduto, senza muoversi da casa Marco riprende il suo  percorso di  formazione.

Ovviamente questo non basta: per l’esercizio fisico ha a disposizione un’attrezzatissima palestra personale ed un personal trainer virtuale che lo guida e lo segue quotidianamente nel suo percorso di armonico sviluppo corporeo.

C’è poi da curare la socializzazione e per questo ha a disposizione smatrphone, tablet, videocamere e tutti gli strumenti che la tecnologia gli mette a disposizione per entrare in contatto con i coetanei.

Trascorre così, tra chiacchierate virtuali, giochi elettronici, musica e tutto ciò su cui un ragazzo benestante può contare, la parte della sua giornata dedicata allo svago.

Quando stasera la famiglia si ritroverà per il rito della cena, ci saranno cose da raccontare, fatti da commentare e programmi da esporre, discutere e realizzare.

Intanto . . .

Usciamo dalla casa e guardiamo dall’esterno.

Questa si presenta come un cubo di cemento armato, senza aperture apparenti, affiancata a tante altre costruzioni simili.

È quello che si potrebbe definire un agglomerato urbano, costituito da cellule abitative collegate da tunnel sotterranei che assicurano energia, aria, acqua, approvvigionamenti e tutto il resto, senza che gli abitanti abbiano bisogno di uscire: tutto è pensato per garantire un perfetto habitat.

La ragnatela dei tunnel, infatti raggiunge grandi capannoni dove si coltivano specie vegetali e si allevano specie animali destinati a fornire il fabbisogno giornaliero di proteine, zuccheri, fibre ecc.

Coltivazioni e allevamenti ovviamente altamente specializzati e razionalizzati in modo da recuperare, con dispersione pari a zero tutti gli scarti da riutilizzare e trasformarle in tutto ciò che può occorrere.

Tutti questi prodotti, naturalmente insieme all’energia, all’acqua potabilizzata e arricchita delle giuste quantità di Sali minerali e all’aria  depurata da ogni possibile agente inquinante o dannoso, viene convogliata, attraverso i tunnel di servizio cui prima accennavo, nelle singole unità.

In queste che si potrebbero definire grandi serre e grandi impianti di trasformazione lavorano uomini e donne, con il compito essenzialmente manuale di controllare che tutte le macchine funzionino perfettamente e pronti ad intervenire al minimo inconveniente che potrebbe rallentare la produzione.

Tutto il complesso ha un nome: Verillitine.

I geografi, i filologi e gli storici fanno risalire il nome a centinaia di anni e lo interpretano come corruzione di un antico everything will be fine (andrà tutto bene, in inglese), parola d’ordine della resistenza nel ventunesimo secolo, in seguito ad un’epidemia virale che mise in ginocchio l’intera economia mondiale e forse l’esistenza dell’intero genere umano. In quella circostanza furono emanate direttive severissime per ridurre o azzerare il contagio; dopo vari anni e milioni di morti, finalmente l‘epidemia si esaurì, ma lasciò strascichi di paura e di abitudini di comportamento.

Queste ultime prevedevano il cosiddetto isolamento sociale, vale a dire l’obbligo di mantenere una distanza di almeno due metri tra le persone.

Una curiosità: in questa comunità anche le relazioni di coppia soni soggette all’isolamento sociale, pertanto la conservazione della specie è garantita da fecondazioni in vitro e gestazioni in uteri artificiali o clonazione.

Gli abitanti di Verillitine si considerano gli unici legittimi eredi della civiltà del ventunesimo secolo: in realtà le cose non stanno esattamente così.

All’esterno di questo piccolo nucleo abitato, c’è il resto del pianeta.

Il radicale cambiamento delle condizioni climatiche e ambientali determinate dall’epidemia, ha fatto sì che la capacità di resilienza dell’ambiente naturale ripristinasse in pochi secoli condizioni di vita molto più salutari e adatte alla sopravvivenza della specie umana.

Dunque le valli, le colline e le montagne, le zone glaciali, temperate o torride, le acque fluviali, lacustri o marine, l’aria ritornata respirabile e salubre oggi ospitano i milioni di persone, eredi di quelle che, sfuggite all’olocausto virale del ventunesimo secolo, decisero di dare una possibilità alla vita senza accanirsi in una disperata ricerca di profitto, ricchezza, agi e comodità, rinnegando la guerra, lo sfruttamento, la competizione, la sopraffazione, l’inganno, in nome della solidarietà.

Negli anni hanno dato vita a comunità pacifiche, capaci di utilizzare le risorse della terra senza straziarla, capaci di vivere in armonia e fratellanza.

In piccoli gruppi, tenuti insieme dalla consapevolezza di essere parte integrante di un delicato meccanismo di produzione e riproduzione, si dedicano all’agricoltura, all’artigianato, allo studio, alla cultura, alla ricerca del bene fisico e psichico loro e della comunità. Anche gli animali sono rispettati ed anch’essi considerati nella loro individualità come esseri dotati di sensibilità e capacità di emozioni.

L’amicizia è considerata un bene prezioso, la sincerità è l’unico modo possibile di rapportarsi agli altri.

L’onestà e la lealtà sono considerate qualità imprescindibili.

La vita della comunità è gestita attraverso la democrazia diretta, quando è possibile, o attraverso strumenti di rappresentanza democraticamente eletta.

La vita sociale scorre nell’armonia e nella serenità, quella determinata dall’appartenenza all’unica razza che li accomuna: quella umana.

Una curiosità: l’amore tra loro è praticato in ogni sua forma. I generi sono rispettati nelle loro peculiarità, l’accoppiamento rappresenta il grado massimo di amore e di affiatamento tra due persone, la procreazione è il modo naturale di lasciare eredi per questo nuovo modello di società.

Anche questi abitanti della terra hanno un nome: Waditi, corruzione o evoluzione filologica di un antico slogan We made it (Ce l’abbiamo fatta in inglese).

 

 

 

 

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Tremilasettecentoventi

 

 

 

La terra è di nuovo il pianeta azzurro: il cielo è terso, l’inquinamento atmosferico è azzerato. I volatili sono tornati padroni del loro habitat e si moltiplicano in tutte le varietà.

Il mare è limpido, le plastiche e tutti i residui secolari di produzioni industriali agricole, gli scarti degli insediamenti urbani sono ormai completamente bonificati. La fauna e la flora marittima occupano i fondali, gli abissi, le coste, offrendo magnifici spettacoli e abbondanti risorse.

Le terre emerse lussureggiano di ogni specie vegetale ed animale: i cicli vitali e riproduttivi sono scanditi dai ritmi naturali e le popolazioni si riproducono rispettando le leggi della genetica e dell’ereditarietà.

Vengono conservate con cura tutte le vestigia della presenza e della civiltà e della cultura umana. Dai più antichi reperti archeologici fino alle più ardite realizzazioni architettoniche, dai più antichi manoscritti e produzioni artistiche, fino ad oggi, tutto è oggetto di studio e divulgazione.

I resti degli insediamenti dei Verillitine, soltanto, giacciono abbandonati e volutamente dimenticati nei luoghi dei loro insediamenti. Dopo una breve parentesi nella storia dell’umanità, infatti, quel modello di vita fu ben presto abbandonato.

Le conseguenze di ordine morfologico, psichico, culturale si rivelarono presto insostenibili e deleterie. I pochi che riuscirono ad uscire per tempo da quella morsa insopportabile raggiunsero i gruppi dei Waditi e con essi divisero abitudini e stili di vita.

Ora la terra, coltivata e curata con amore, nutre senza sprechi tutta la popolazione mondiale, le comunità vivono in perfetta armonia.

Il concetto stesso di ricchezza e povertà non ha più ragione di esistere perché ad ognuno è garantito il diritto di essere e di realizzarsi secondo le proprie aspirazioni, tendenze e disideri.

Non esistono più confini, nazioni, stati, etnie, popoli. Le culture, tutte, hanno lo stesso valore e lo stesso rispetto. La parola “tolleranza” è di fatto bandita perché non c’è nulla e nessuno da tollerare: ogni cultura, ogni religione, ogni filosofia, ogni interpretazione della vita e della realtà è accolta e rispettata.

Non c’è conflitto tra le varie culture e ognuno si sente partecipe di un unico grande progetto di vita che non tende all’omologazione, ma favorisce l’individuo in ogni sua manifestazione.

Il rispetto governa tutti i rapporti di questa unica, grande comunità: l’empatia è il massimo grado del rispetto. Ogni individuo ha un valore inestimabile; la differenza è un valore e non un limite.

L’amore è il collante di questa unica nazione che ha rifiutato ogni forma di discriminazione. Ha scelto un nome per definirsi tutta intera: umanità terrestre.

 

 

 

gerardo meschini

 

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