Napoli

 

È veramente difficile parlare e dire di Napoli senza cadere nell’ovvio, nel banale, nel già detto. Bisogna poi fare molta attenzione a non  lasciarsi catturare dalla trappola della retorica, dell’oleografia, del manierismo.

Di questa città [senza aggettivi di alcun genere] si può dire, come di tante altre grandi città del mondo, tutto ed il contrario di tutto, con in più, forse, solo la visibilità che troppe frasi fatte, ma anche tante meravigliose descrizioni, le hanno dato.

Si può, e si deve, ammirare stupefatti la meravigliosa bellezza del panorama, ma si può altrettanto inorridire di fronte allo scempio che malviventi di ogni genere ne hanno fatto nei secoli e negli anni; si può e si deve apprezzare ed esaltare la cultura raffinatissima che i suoi cittadini hanno prodotto in passato e tuttora producono, ma si deve anche accettare la sottocultura infamante che ha regolato e regola la convivenza o la scontro sociale.

Nessuna forma artistica, scultura, pittura, musica, teatro, poesia potrebbe fare a meno del contributo di questa città senza esserne profondamente menomata; filosofia, storia, scienze, religione, etica, matematica, fisica, ogni campo dello scibile umano ha ricevuto l’apporto del genio napoletano, ma allo stesso modo, ogni più turpe bassezza è stata confortata dall’apporto di questa strana comunità: l’imbroglio, dal più innocente a quello miliardario, la truffa, il raggiro, il furto, la rapina, fino all’omicidio ed alla strage, in ogni campo della malvagità e del disprezzo per la proprietà, la dignità e la vita altrui, in ognuno di questi campi si è esercitata l’intraprendenza di questa strana comunità.

Questa comunità fatta di persone, maschi e femmine, questa gente è stata catalogata e giudicata in mille modi, tutti giusti e tutti sbagliati.

Popolo di servi. Certo. Gente che ha piegato la schiena ed osannato i sovrani più indegni, i padroni più crudeli; gente che è sopravvissuta al sopruso e all’ingiustizia, gente che, nella sua viltà ha trovato il modo di ingannare e raggirare, di sbeffeggiare il potere piegandolo alle sue esigenze, gente che ha attraversato con l’ironia, con il sarcasmo, con lo sberleffo, con la risata, epoche terribili, catastrofi spaventose, eventi raccapriccianti ed ha vinto. La maschera di Pulcinella, eroe codardo, servo padrone, ignorante saggio, astuto ingenuo è la maschera di un popolo, è la maschera che il popolo ha voluto indossare. Per vivere, per vincere.

Popolo di uomini liberi. Gente che ha saputo alzare la testa, impugnare le armi e combattere quando il giogo era troppo pesante, quando la vergogna era insopportabile, quando la misura era colma. Popolo che ha saputo riscattare la sua dignità non indietreggiando neppure di fronte al sacrificio ed alla morte.

Descrivere, e tanto meno giudicare una città nel suo insieme, un popolo nel suo insieme è impossibile, più che inutile. Si può, forse, conoscere una persona, si può forse penetrarne qualche segreto, ma è impossibile conoscere una contraddizione, spiegare l’inspiegabile, giudicare l’ineffabile.

Ho conosciuto dei Napoletani meravigliosi e li ho amati; ho conosciuto dei Napoletani pessimi e non li ho giudicati; ho conosciuto persone del mondo e ne ho incontrati di amabili e di odiosi. Ho imparato a non giudicare se non me stesso, ho cercato di imparare ad essere amabile sperando di essere amato. L’ho fatto cercando le persone, gli individui prima della razza, dell’etnia, della religione, della cultura, del censo, del sesso e degli orientamenti sessuali, delle ideologie e delle scelte politiche. Semplicemente non ho mai avuto prevenzioni e quando ho sbagliato ho sempre pagato il conto.

Ma Napoli c’è: Napoli è la mia città.

Un luogo non luogo.

Per me è un luogo dell’anima, è una categoria dello spirito, è un a priori della conoscenza, non lo nego né voglio negarlo.

Ne sono lontano per scelta, però; quando mi chiedono se tornerei a viverci rispondo, convinto, di no; quando mi chiedono se mi ricordo la mia terra, il mio mare, il mio cielo, rispondo di sì, ma non mi manca.

Napoli è dentro di me, la sento in ogni respiro, in ogni pensiero: è qui, nelle radici della mia anima, così come me l’hanno piantata mamma e papà, nella filosofia della tolleranza, della cordialità, nella cultura dell’accontentarsi e del cogliere il bello e il buono dove sta. Le esperienze che ho fatto sui banchi del liceo, per le strade della ribellione, sono tutte qui con me, insieme ai ricordi di bambino e di adulto, di figlio e di padre. Sento le vibrazioni della musica, della cultura, della vita della mia città, che amo e che odio, nella sua contraddittoria ingenua bellezza e nella sua contraddittoria malvagia cattiveria. In lei, da lei e con lei ho imparato ad essere quello che sono, nella mia contraddittoria umanità.

Ma non mi manca. Come il bambino che, dopo aver pianto vedendo la madre allontanarsi, come il bambino che sorride nel rivederla tornare, come il bambino che non si dispera più perché la sua mamma è dentro di lui e non l’abbandonerà, così Napoli è dentro di me: non ne soffro la mancanza perché non mi manca, perché la sua presenza in me mi consola, mi guida, mi nutre.

Fa parte di me questa grande, ma non ingombrante,  presenza, questo grande, ma non esclusivo, amore, questa città, madre, che come tutte le madri ho amato ed odiato senza potere, e senza volere, riuscire a strapparmela dal cuore e dalla mente. Se mai ci riuscissi, insieme a lei strapperei la mia anima..

Gerardo Meschini

 

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