Scene di altri tempi

Nel primo pomeriggio, appena il sole cominciava a scaldare, le donne del piccolo quartiere si riunivano nella piazzetta semicircolare delimitata dai platani su un lato e aperta verso le montagne dall’altro. Sedute sulle seggioline, tiravano fuori i loro lavori, chi rammendava, chi faceva la calza, chi ricamava. Le ricamatrici erano le più silenziose tutte attente a fili e punti, le altre, invece chiacchieravano a non finire , il paese era fonte inesauribile di storie e storielle. Intanto i figlioli, dai più piccoli quasi trotterellanti, ai più grandicelli, giocavano. A coppie le bimbe, a gruppetti i maschi. Qualsiasi cosa serviva: una palla o una pistola finta, una macchinina, una bambola, ma anche sassetti e foglie, e poi c’erano sempre “le guardie e ladri” ” e il “mondo” o il più facile “nascondino”. Talvolta si sentivano strilli e anche gridi e pianti, superati solo dalle urla e dai rimbrotti delle madri. Poi tornava la calma. La guerra era lontana, sembrava non influire nella vita giornaliera degli abitanti del paese. Erano bimbi vestiti alla buona ma puliti, le bimbe un po’ grassottelle, i maschi più magri ma con l’aria sana.

 

Di fronte alla piazzetta, al di là della strada, c’era una villetta, ben diversa dalle altre case a due o tre piani, con le finestre piccole, i muri un po’ scrostati e un’aria nell’insieme desolata. La villetta invece era di un bel colore rosa, con il balcone al piano superiore, con le persiane verdi, una grande vetrata colorata sopra un piccolo giardino pieno di piante e fiori. Ci abitava una bella signore bionda, dai modi gentili, con il suo unico figlio. Il marito era una persona importante che lavorava a Roma, tutto preso dagli affari di stato e non poteva venire spesso a trovarli. Il figlio era carino, biondo ma magro, con un’aria gracile, quasi malaticcia. Forse avrebbe avuto voglia di uscire e raggiungere gli altri bimbi, ma non poteva e solo a uno di loro, Mario, il figliolo del bottegaio, era permesso di varcare il cancello e giocare con lui, ma in casa, al riparo. E quando Mario usciva, raccontava di meraviglie: la stanza dei giochi, il trenino

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elettrico, le costruzioni, la merenda con il tè.

 

Qualche volta anche la signora raggiungeva le donne sedute nella piazzetta quando aveva dei lavoretti di cucito che affidava loro e che loro facevano volentieri per arrotondare un po’ i salari dei mariti. Allora la signora si metteva a parlare del figlio, tanto intelligente e studioso, con un istitutore personale che curava la sua istruzione.

Le donne lo sapevano dell’istitutore, lo avevano visto entrare, era un maestro del paese in pensione, conosciuto per la sua cultura e ne avevano soggezione. Il figlio, diceva la madre, da grande sarebbe andato a studiare in Svizzera, intanto era affidato alle sue cure e lei viveva solo per lui. Ne curava personalmente le buone maniere e, soprattutto, ne curava la salute con cibi leggeri ma sostanziosi, con carne una volta al giorno, bistecche per

lo più, qualche banana, qualche biscotto di marca e un po’ di cioccolata, non troppa, per carità.

 

A questo punto la reazione delle donne era duplice: qualcuna abbassava gli occhi pensando che la carne a casa sua era scarsa, un po’ di lesso e un po’ di maiale, ossi per lo più e salsiccia. Niente banane, i figli non le conoscevano neppure; un po’ di cioccolata a Pasqua, un piccolo uovo, e a Natale, le monete ricoperte di carta dorata. Il cibo sulla tavola non mancava ma spesso era polenta e cavolo, oppure minestrone di patate e fagioli, con taglierini fatti in casa, buonissimi, sostanziosi ma non proprio leggeri. Erano le più anziane che commentavano ad alta voce “ha ragione, ha ragione, buon per lei che lo può fare”. Altre, le più giovani, giravano la faccia e sbuffavano e facevano smorfie di ogni tipo per non scoppiare a ridere. Finché un giorno, appena la signora si fu allontanata, la più giovane, madre di una bimba piccola, sbottò: “Se la mi’ figliola deve diventare bianca e secca come il su’ figliolo, preferisco la bistecca non dargliela” e giù a ridere finalmente a crepapelle.

La battuta fece presto il giro del paese, si raccontava anche a veglia, finché diventò il modo di dire ogni volta che c’era da bollare qualche persona non proprio alla mano, un po’ troppo pretenziosa e poco attenta alle situazioni altrui.

Maria Pia Pieri

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