Ho conosciuto solo i nonni materni, gli altri erano lontani ed erano mancati presto,
ma Pietro e Onorina sono stati molto presenti nella mia infanzia, e sono vissuti per molto, la nonna se n’era andata a 87 anni e il nonno a 95.
Quand’ ero piccola, avevo contratto le malattie tipiche dei bambini, morbillo, orecchioni, varicella, (non c’erano tutte le vaccinazioni di oggi) e così la mamma era spesso costretta a chiamare uno dei nonni per accudirmi.
La nonna era una donna alta, sempre vestita di nero e si presentava con un’aria triste e anche un po’ dura, il nonno era piccolo con dei grandi baffi rossi, aveva un’aria buffa da giocherellone e mi permetteva addirittura di giocare con il violino di famiglia.
La nonna non ammetteva momenti di svago, il nonno invece partecipava alle varie sagre paesane, ai compleanni, alle celebrazioni religiose; amava ballare e suonare.
Quando poi sono cresciuta, ed ero quasi una ventenne la nonna faticava ad accettare la modernizzazione della società e gli sconvolgimenti prodotti dagli anni della contestazione.
Era il periodo del sessantotto e quando mi presentavo a lei con minigonne, pantaloni a zampa di elefante e zatteroni, sicuramente non approvava, ma si limitava a sorridere. Il nonno sembrava accettare con più disinvoltura il rovesciamento dei canoni e dei valori della tradizione e non interveniva nelle mie scelte.
Certo loro erano due nonni nati alla fine dell’Ottocento, mia madre era una nonna del Novecento e io la sono diventata nel terzo millennio, ma nonostante questo rapporto intergenerazionale così diverso mi rendo conto che è proprio nella continuità tra passato e futuro che il legame tra nonni e nipoti acquista un nuovo valore.
Laura