Cracovia-Birkenau-Auschwitz

 

23 ottobre 2012 ore 9.00
In volo per Cracovia

L’abbraccio di Sami Modiano si è impresso nella mente e nel cuore. È per mia sorella, che l’ha conosciuto e che devo abbracciare da parte sua, è il mio viatico per questo viaggio che tutti chiamano della memoria. Viaggio della storia (“se vuoi, dai voce alla storia”), viaggio nella tragedia della Shoah.
Ho con me i versi di Paul Celan, raccolti da Francesco Marotta nell’originale e in tante toccanti traduzioni per il primo quaderno dei Memoranda. Riprendo la lettura da Die Niemandsrose, La rosa di nessuno, proprio con Psalm, Salmo. Provo anche io a tradurre il testo:

Salmo

Nessuno torna a plasmarci da terra e fango,
nessuno dà voce alla nostra polvere
Nessuno.

Lodato sii, Nessuno.
Per amor tuo vogliamo
fiorire.
Verso
di te.

Un Niente
eravamo, siamo,
rimarremo, fiorendo:
la rosa di Niente, la
rosa di Nessuno.

Con
lo stilo chiaro d’animo
il filamento orrido di cielo
la corolla rossa
per la parola di porpora che cantammo
oltre, oh oltre
la spina.

Paul Celan
(traduzione di Anna Maria Curci)


Psalm

Niemand knetet uns wieder aus Erde und Lehm,
niemand bespricht unsern Staub.
Niemand.

Gelobt seist du, Niemand.
Dir zulieb wollen
wir blühn.
Dir
entgegen.

Ein Nichts
waren wir, sind wir, werden
wir bleiben, blühend:
die Nichts-, die
Niemandsrose.

Mit
dem Griffel seelenhell,
dem Staubfaden himmelswüst,
der Krone rot
vom Purpurwort, das wir sangen
über, o über
dem Dorn.

Paul Celan

Su ‘himmelswüst’ inciampo e sosto, mi fermo e poi decido di tradurre la desolazione, il deserto e il caos dell’aggettivo ‘wüst’, da Celan affiancato, nell’abisso dell’indicibile, al cielo del prefisso himmel-, con ‘orrido di cielo’. L’ha detto poco fa anche Sami Modiano: ogni volta si spalanca la sofferenza, ogni volta che ritorno. Sami Modiano, deportato da Rodi all’età di 13 anni, da lì partito il 23 luglio e giunto a Birkenau il 16 agosto 1944, e le sorelle Tatiana e Andra Bucci, che avevano rispettivamente sei e quattro anni all’epoca dell’arresto a Fiume e della deportazione

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dalla Risiera di San Sabba, saranno con noi in questi tre giorni, a Cracovia, Birkenau, Auschwitz.

 


Birkenau, 24 ottobre 2012, mattina

Vento freddo. Leggo la desolazione sui volti degli studenti assorti. Qualcuno di loro userà, poi, l’aggettivo ‘devastante’. Sami Modiano racconta sulla Bahnrampe a Birkenau, noi siamo seduti sui binari; ci spostiamo sulle rovine del Krematorium II, fatto saltare dai nazisti prima di abbandonare il “centro della morte”, come lo definiva lo storico Raul Hilberg. Qui Shlomo Venezia, ebreo di Salonicco, deportato e sopravvissuto, rievocava l’orrore, con la sua voce pacata, monocorde e ferma, di fronte ma distante dal Krematorium III, doveva aveva fatto parte del Sonderkommando. Sulle rovine del Krematorium II, nella preghiera in ebraico per Shlomo Venezia, morto qualche settimana fa, colgo la parola Shekinah, la parola-tenda, Zeltwort, come la definiva Paul Celan. Cerco di aggrapparmi a quella parola. Non è semplice, ora.
Tatiana e Andra Bucci raccontano dinanzi alla baracca dei bambini, che le ha ospitate, delle loro corse tra cumuli di cadaveri insieme agli altri piccoli compagni in attesa di essere sottoposti agli esperimenti di Mengele. Essere state prese per gemelle, nonostante i due anni di differenza, le ha ‘salvate’. Non si è salvato invece il cuginetto Sergio De Simone, ebreo napoletano. La zia Gisella, sorella della madre di Andra e Tatiana, aveva pensato di trovare scampo a Fiume, in fuga da Napoli, che pochi giorni dopo la sua partenza fu liberata. Quando raccontano la storia di Sergio, il suo passo avanti alla domanda: “Chi vuole tornare dalla sua mamma?”, le torture alle quali fu sottoposto, lui, nel gruppo di dieci bambini e dieci bambine selezionati da Mengele per essere inviati al campo di Neuengamme (i bambini del ‘Bullenhuser Damm’), la morte atroce il 20 aprile 1945 nella scuola di Amburgo, il nostro pianto in piedi non si ferma.

Birkenau, 24 ottobre 2012

Il vento non serpeggia, il vento attizza
l’abbaiare di voci e pastori tedeschi.

La voce ferma e tremante di Sami
non pronuncia il nome, ma «links!» e «rechts!»,
spartiti per straziare corpi e storie.

Al crematorio due, al lato opposto
del suo Sonderkommando, il suo ricordo:
dov’era, Shlomo, ai giorni, Shekinah?

Di fronte alla baracca dei

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bambini
Andra e Tatiana parlano di Sergio,
del passo avanti e l’orrore di Amburgo.

 

Non sediamo sui fiumi a Babilonia,
ma il nostro pianto è in piedi e scuote il vento.

Anna Maria Curci*
Roma, 26 ottobre 2012


Auschwitz, 24 ottobre 2012, pomeriggio

La guida italofona, Michele, parla a voce bassa. Tanto più precisamente si imprimeranno in noi le sue parole. Ci mostra il blocco 11 con le Strafzellen, le celle di punizione, anguste, soffocanti, così volute perché la pena fosse insostenibile. Penso a Jean Améry, al suo Jenseits von Schuld und Sühne, letteralmente: “Al di là della colpa e dell’espiazione”, tradotto in italiano con il titolo Intellettuale ad Auschwitz. Davanti alla Strafzelle n. 18, il “bunker della fame”, mi fermo: lì, dove arde un cero, padre Kolbe fu assassinato con una iniezione di fenolo. Per giorni, da lui e dagli altri rinchiusi con lui perché morissero di fame, si erano levati canti e preghiere. Il 14 agosto 1941 erano in quattro a essere sopravvissuti, padre Kolbe l’unico cosciente.
Poi le foto di famiglia, la montagna di scarpe e i capelli (dein aschenes Haar Sulamith: ma Todesfuge di Paul Celan è sempre con me).
Chiedo a Michele dove è morta Edith Stein il 9 agosto 1942. Michele mi spiega che è stata uccisa in uno dei due bunker di Birkenau, le camere della morte prima della costruzione dei crematori. Nessuno sa, tuttavia, quale dei due bunker sia stata la sua camera a gas. Penso al passaggio della canzone di Juri Camisasca, Il carmelo di Echt: “Dove sarà Edith Stein?” Uno studente di religione ebraica, Andrea, che è nel nostro gruppo e con il quale abbiamo già scambiato qualche frase – mi ha sentito parlare con le mie studentesse di musica e si è incuriosito – mi chiede: “Ma chi era Edith Stein?”. Provo a spiegarglielo, Andrea ascolta attento, prende nota sul suo inseparabile quaderno di appunti elettronico. Allora capisco la frase di Sami Modiano: “Per tanti anni mi sono chiesto perché mi fossi salvato, perché la morte mi avesse rifiutato. Ora lo so: era perché potessi parlare con voi, ragazzi”.

® Anna Maria Curci, 23 -27 ottobre 2012
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* un ringraziamento a Fabio Michieli per la lettura critica di Birkenau, 24 ottobre 2012

Blog “Cronache di Mutter Courage” http://muttercourage.blog.espresso.repubblica.it

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