Figlia

Racconto di Beppe Calabretta

Scalpiccio di passi sulle scale, rumore di chiave nella toppa, cigolio di porta che si chiude, fruscio di impermeabile, Luciana è finalmente a casa. Finalmente sì, perché dopo l’ennesima giornata passata a cercare lavoro, da uno Studio all’altro, da un cantiere all’altro, e dopo sei ore di lavoro massacrante, è veramente stanca e affamata. Le ultime due ore di lavoro poi, l’hanno veramente sfiancata. Lei che ha una laurea in ingegneria civile in tasca, per tirare a campare fa un lavoro da sguattera nella cucina di un grande ristorante. Certo, non deve lavare pentole, piatti, bicchieri uno alla volta come facevano gli sguatteri di tanto tempo fa, ma ogni pezzo deve comunque passare più volte dalle sue mani.

Mamma, sono arrivata, dove sei?

È questa l’ora di tornare?

Mamma, lo sai che torno dal lavoro.

Il lavoro, il lavoro e io qui sola tutto il giorno. È questo il modo di trattare tua madre?

Mamma, se non lavoro non si mangia. Hai cenato? È venuta Giuliana?

Silenzio.

Ogni sera la stessa solfa e a quel punto, ogni sera, Luciana sta per perdere la pazienza. Ma poi si ferma, tira un sospiro e borbotta tra sé, lo so mamma che sei sola ogni santo giorno e per fortuna che c’è Giuliana, la mia amica del cuore, che viene a darti cena senza pretendere nulla. Vorrei vedere come faremmo altrimenti! Intanto si toglie le scarpe, infila le pantofole, passa dalla madre inchiodata nella sua poltrona, le sfiora i capelli con un bacio e si fionda in cucina.

Mangia quello che trova con voracità, tracanna un bicchiere di vino rosso e infine si rilassa abbandonandosi sulla sedia a peso morto. Non dovrebbe perché quello è il momento più critico. Infatti lacrime silenziose le spuntano dagli occhi e una voglia matta di urlare a squarciagola. Ma si trattiene. Non può, non vuole. Incrocia le braccia sul tavolo, vi poggia la fronte, chiude gli occhi. Sembra assopita. Come se tutta la rabbia fosse evaporata o uscita dal suo corpo con quelle poche lacrime silenziose. Ma non è né assopita, né placata. La sua mente continua a lavorare con lena.

 

Luciana che fai? Sei stanca, sei sfiduciata? È normale. Ma basta per smettere di ragionare? Non ci posso credere. Tu sei ingegnere, abituata ad affrontare i problemi e sforzarti di risolverli. Hai sempre avuto anche un pizzico di ironia e di autoironia. Hai avuto anche un po’ di sfrontatezza quando il caso lo ha reso necessario. Ti ricordi, sì ti ricordi il tuo primo esame di analisi matematica quell’assistente borioso che pretendeva tu recitassi a memoria uno dei tantissimi teoremi? Ti ricordi come gli hai risposto? Mi scusi professore, ai nostri tempi non si recitano a memoria neanche le poesie, si cerca di capirle, di leggerle come si deve, non di memorizzarle e lei vuole che ricordi a memoria un teorema? Sto studiando per diventare ingegnere non attrice. Così gli hai risposto! Te lo ricordi? Allora? Cerca di metterti nei suoi panni, di tua madre, voglio dire. Lo sai che non ha tutti i torti, anzi non ne ha nessuno. Inchiodata su quella poltrona per tutto il giorno, tutti i giorni che spuntano all’orizzonte. Domandati, domandati cosa faresti tu al suo posto. Non posso, non posso mettermi nei suoi panni, non ce la faccio, non è colpa mia se è in queste condizioni, è lei che è andata a sbattere contro un albero! Non io. E allora? Poteva capitare a chiunque di incappare su una macchia d’olio e perdere il controllo. È vero o no? È vero, ma cosa posso farci? Faccio del mio meglio, guadagno appena il necessario per tirare a campare, devo cercarmi un lavoro decente, non posso assumere una badante. Anche questo è vero. Ma, è l’unica soluzione? Pensaci, è l’unica soluzione?

Luciana alza la testa, si stiracchia, si guarda intorno, rimette rapidamente a posto la cucina e va dalla madre.

Mamma, è ora di andare a letto.

Che ci vado a fare a letto? Tanto non dormo.

Ma io ho bisogno di dormire, sono stanca e non ti posso lasciare qui.

Perché, fino a letto riesco ad andare da sola e anche in bagno, se è per questo. Arrivo perfino in cucina e mi faccio anche il caffè se ne ho voglia.

Lo so, lo so, ma non posso lasciarti da sola in poltrona.

Mi lasci sola tutto il giorno e ora non mi puoi lasciare in poltrona?

Non dormo tranquilla se non ti so a letto e poi…

Poi cosa?

Domani non ti lascerò sola, sto con te fino a quando non si fa l’ora di andare a lavoro e così il pomeriggio, torno sto qui e poi vado a lavorare.

Ma, figlia mia, devi andare a cercare un lavoro più…

Mamma, o vado in giro o sto con te, e tu hai ragione… non puoi startene sola tutto il giorno e poi è inutile andare in giro, oramai i curricula li ho lasciati dappertutto. Ho deciso, per qualche giorno non andrò più in giro e poi si vedrà, qualcosa mi inventerò. Ma, ora a letto, su!

Va bene, come vuoi, ma a letto ci vado da sola, ecco vedi, mi sposto sulla carrozzella e…

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